
Il buio della sala viene squarciato da uno sfondo morbido di tenui colori rosa e giallo ocra. Due donne, due contadine olandesi, ci vengono incontro con il loro vocìo giocoso che progressivamente arriva al nostro orecchio. Si staglia sullo sfondo un mulino a vento che si contrappone all’immagine del pittore come a sancire una parentela tra l’artista viaggiatore e il cavaliere errante: eccolo lì Turner, immerso in quel panorama da cui succhia ogni impressione! Assorto e curioso, questo precursore dell’Impressionismo imprime con movimenti rapidi sul suo taccuino da viaggio quanto recepito come fosse lui la pellicola della futura macchina fotografica che tanto lo interesserà.

È forse il tempo nuovo che avanza? Allo sfondo tranquillo della campagna si contrappone lo sferragliare delle carrozze e il vociare della città: è una Londra indaffarata e dal passo svelto che accoglie il pittore.

Il brulicare vivo e creativo si acquieta oltre la soglia della porta di casa; la silenziosa ed elegante dimora è pronta ad accogliere lui e la sua borsa da viaggio. L’ampia vetrata illumina l’
atelier dell’artista che si precipita a dipingere mentre l’aria vaporosa di colori accoglie quel ritorno ricco d’immagini che emergeranno dalla tela bianca. In questa grande casa compaiono le due figure di riferimento: Hannah, la governante dalla mente semplice e sensibile che si aspetta le attenzioni sensuali di Turner, nonostante il loro punto d’incontro abbia le caratteristiche di un rapporto animalesco; e il padre con il materiale appena comprato - la vescica di blu oltremare, il giallo ocra e la biacca, le tele da lui richieste. È un padre così corporeo nel suo essere affettuoso, come una madre di cui ha preso il posto, dedito a tutto ciò di cui il figlio necessita, e non solo per la realizzazione della sua arte. Divertente la scelta del regista di mettere in sequenza le due scene in cui il padre fa la barba prima alla testa del maiale, che sarà opportunamente cucinata da Hannah, e poi al volto del figlio: sarà un’allusione alla curiosità sessuale di Turner? Sarà un’assonanza con i suoi grugniti che sottolineano spesso il suo disappunto

rispetto alle convenzioni sociali (ma anche un riserbo nel proteggere la sua intimità)? Questi suoni diventeranno sempre più frequenti nel corso del film in concomitanza con la dissolvenza della forma nei suoi quadri.
Tutto nella casa ruota attorno all’attività del pittore, i tempi sembrano scanditi dalla preparazione del materiale e dal dipingere. In questo il regista fa la scelta radicale di non raccontare tutta la vita di Turner ma solo la sua quotidianità andando a scovare le radici del suo cambiamento stilistico. In realtà il film raccoglie gli ultimi venticinque anni della vita di Turner e la storia parte da un anno prima della morte del padre, che fin da quando il figlio aveva dieci anni ne aveva esposto i lavori nella vetrina del
barber shop di Covent Garden dove lavorava.

La casa è uno spazio di lavoro e di vita vissuto al contempo come una sorta di teatro sempre pronto ad accogliere diversi scenari: la cucina, l’
atelier, e quell’affascinante anticamera che viene sempre opportunamente oscurata e preparata dal padre prima che i visitatori siano introdotti nel luminoso spazio espositivo. In quale sbornia di colori siamo proiettati attraverso questo rito!

Il regista sottolinea la capacità di Turner di scegliere gli spazi e, da un punto in poi della sua vita, le donne che gli corrispondono. La ex amante, e madre delle sue due figlie illegittime, viene respinta in un passato da dimenticare: per loro Turner non ha che silenzi e grugniti. Ben diverso è il dialogo musicale con Miss Coggins che ascolta incantato mentre suona la
Patetica di Beethoven, e con la quale poi intona con voce tremula “
Forget my fate. Remember me, but...ah! Forget my fa ... my fate” sulle note di Henry Purcell: presta commosso la voce a Didone per esprimere il lamento di un amore perduto. O quando parla con Mrs. Somerville “
matematica, astronoma, geologa, filosofa della natura” nel suo
atelier mentre lei gli dimostra le proprietà magnetiche della luce viola, proprio a lui che è ricercatore della luce e non solo di quella visibile. O come quando tenta di disegnare la giovane ragazza del bordello ma non ci riesce perché è sopraffatto dal dolore: piange senza ritegno di fronte al corpo di quell’angelo caduto che già parla di una devastazione interna (sarà forse lei la donna che vediamo suicida alla fine del film, quando per la seconda volta non riuscirà a disegnarla?). Della governante Hannah, la sua
damigella, coglie una grazia tra le piaghe della pelle e tra le pieghe del bozzolo di seta in cui rimane chiusa, lei, fedele custode della sua arte, delle sue tele e dei suoi grugniti a cui risponde ogni volta con una particolare espressione del volto oppure con un bofonchiare a sua volta. Rispetta la libertà dell’uomo ma non anela alla propria. Ed è per questo che il loro rapporto rimane confinato tra le pareti domestiche, fucina di un divenire per entrambi seppure con tempi e prospettive differenti. Loro sono uniti nel non essere convenzionali, nell’essere ruvidi, curiosi, ironici, irriverenti, al pari di alcuni personaggi della Londra di Dickens. Come lo scrittore, Turner odia l’analfabetismo e ogni forma di sopraffazione.

Solo dopo la morte del padre è pronto per Mrs. Booth, una donna matura che gestisce una locanda a Margate: si tratta di un luogo di mare in cui lui era stato all’età di undici anni, in concomitanza con le prime manifestazioni di instabilità psichica della madre in seguito alla morte della sorella. Sappiamo nel letto di morte del padre che questa malattia psichica si era aggravata nel tempo a tal punto da rendere necessario il ricovero della madre in manicomio. “
Le abbiamo fatto un torto, povera donna”, dice il padre con grande rammarico. E Turner: “
Non avevamo scelta, papà. Ci rendeva la vita un inferno”. Ecco un nuovo angelo caduto... il primo della sua vita. Per contrastare la follia della madre lui aveva cominciato a disegnare. Margate era il luogo dove aveva iniziato a dipingere ed anche il primo lembo d’Inghilterra ad essere raggiunto dal sole; forse è per tale motivo che questo villaggio del Kent aveva per Turner una qualità di luce davvero particolare. Ed è proprio lì che torna per elaborare il suo lutto, quello recente come quello antico. Lo ritroviamo nella locanda di Mrs. Booth a dialogare con la calorosa signora e con il marito di lei: si crea un’atmosfera di tale intimità che Turner supera la sua ritrosia e ascolta con grande interesse i racconti marinareschi di lui, maestro d’ascia sulle navi negriere. Curioso destino quello di Mrs. Booth! Aveva perso il primo marito, “
il salvatore di vite” nel corso di un eroico tentativo di salvataggio durante un naufragio. E ora perderà a breve anche il secondo marito, portatore di un dolore profondo per quello a cui di disumano aveva dovuto assistere e in qualche modo partecipare. Turner coglie la luce interiore di Sophie Caroline: “
Mrs. Booth... siete una donna di profonda bellezza”. Nella danza sulla scala della casa, una stanza di fronte all’altra, si compie il passaggio: il moto selvaggio di lui che l’afferra per baciarla, nel ritrarsi trova la mano di lei che lo conduce nella sua camera da letto. Ha inizio la loro bella storia d’amore, fatta di dialoghi, passeggiate, cose fatte insieme di un’intensità e intimità mai conosciute prima. Lo stile di Turner per la prima volta si arricchisce di un conflitto con il femminile che non è più: si rompono le forme e i colori descrivono nuove dissolvenze. Realizza in questo modo pienamente il suo essere cercatore di luce, perché è la luce che dà le forme ai corpi e agli oggetti, sfumandoli. Sul letto della propria morte dirà ridendo: “
La luce è Dio”. Come suona profondamente laica questa frase!

A queste frange intimistiche del vivere si contrappongono le immagini dei momenti istituzionali dove cambiano le atmosfere e i dialoghi diventano convenzionali. Vengono descritti in modo magistrale i pittori contemporanei di Turner: spesso pittori di corte o squattrinati destinati alla rovina che non hanno una visione globale come invece lui ha. Lo vediamo entrare alla
Royal Academy of Arts, di cui era un membro importante e riconosciuto, e dare consigli benevoli come pure sferzanti suggerimenti. A questo proposito davvero divertente è lo scontro con John Constable, assai ammirato in quel tempo, che ossessivamente applica pittura rossa alla sua tela con una microscopica spatolina. Senza proferir parola, armato di un pennello capace, Turner va davanti alla sua
opera più bella e con un fare ardito e deciso solca il centro del quadro con una pennellata verticale rossa... e poi se ne va tra i commenti sbigottiti dei presenti. Torna di lì a poco, e di quella pennellata con un dito ne fa una boa. Ecco come si muove Joseph Mallord William Turner dentro il mondo della ufficialità artistica: facendosene beffe. Come accade nel salotto aristocratico della famiglia Ruskin, dove i dialoghi inutili ruotano intorno all’uva spina e annoiano i pittori che sono costretti ad ascoltare perché si trovano davanti ai loro possibili compratori. Il ram-pollo di famiglia, borioso critico d’arte in erba, nel mezzo di quel parlar di niente ha un atteggiamento denigratorio nei confronti del pittore Claude Lorrain, che Turner non esita a definire un genio. Per poi riportare con sagacia il giovane Ruskin su quel niente da cui era partito l’attacco all’artista. D’altra parte, lui stesso verrà denigrato da molti contemporanei, dai reali come dagli altri pittori e infine anche dalle masse: proprio non riescono a comprendere quel passaggio ardito in cui le forme si dissolvono. L’artista amato dei naufragi e del conflitto vibrante tra luce e tenebra lascia il passo al cronista del suo tempo che filma in modo creativo i cambiamenti della sua epoca:
steel and steam.

A questo proposito vediamo Turner su una barca con due rematori mentre chiacchiera amabilmente con altri due uomini. Nessuno di loro è indifferente allo spettacolo della nave da guerra che dopo aver vinto numerose battaglie, tra cui quella di Trafalgar, viene trainata da un rimorchiatore a vapore lungo il Tamigi. La eroica
Temeraire, raffigurazione dell’antica potenza navale inglese, sotto un cielo dalle tinte fiammeggianti, viene condotta in porto per essere distrutta e trasformata in legna da ardere e sedie. È sfumata, come evanescente, rispetto al rimorchiatore che la traina in questa transizione verso la Rivoluzione Industriale che avanza. “
Stiamo vedendo il passato” dice uno dei due uomini. E Turner: “
No, il passato è passato. Stiamo osservando il futuro. Fumo. Ferro. Vapore...”. Con questa frase sancisce il suo essere artista e non solo pittore: è sempre stato solo ma per questa visione verrà sempre più isolato.

Solitudine e isolamento non sono la stessa cosa… e poi c’è il sublime! L’artista che tocca il sublime deve mettere in conto il penoso isolamento e infatti Turner paga la sua scelta artistica nel corpo: forse a questo allude il regista con la scena ripresa da lontano del primo mancamento su una scalinata del porticciolo di Margate, in quella che sembra una danza con la morte fatta da un Satiro. Per Turner, uomo profondamente calato nel suo tempo, cominceranno gli attacchi di cuore. E nonostante questo egli manterrà in modo caparbio la sua visione nel colore: “
Il colore è contraddittorio... sublime ma contraddittorio, eppure armonioso”. E Mrs. Somerville risponderà: “
Lei è un uomo che ha una grande visione. L’universo è caotico e lei ce lo fa vedere”. Il sublime è dato dall’incontro della luce con ciò che non si conosce e che per i più è facilmente comprensibile con la trasposizione pittorica dell’oscurità. Ricerca comune quella fra Turner e il regista: partono dalla descrizione dei fatti per arrivare al sublime. Il regista è un cercatore di luce nella quotidianità del pittore, il pittore è inondato dall’oscurità e dal colore. Il regista cerca l’uomo nel pittore, il pittore cerca l’artista nella luce che illumina tutte le cose: entrambi ci fanno sentire l’oscurità dell’essere umano in cui c’è crudeltà e bellezza, e dove la stessa bellezza diventa crudele, senza per questo essere “cattiva”. Proprio come la Natura e i suoi scenari: maremoti, nubifragi, tempeste, frane... passaggi epocali. E mentre l’artista si confronta con la Natura e con sé stesso, con le luci e le ombre interne di ognuno, è possibile toccare la piccolezza dell’uomo di fronte alla grandiosità selvaggia della Natura. Qualsiasi cosa accada all’uomo, la Natura prosegue la sua vita. Questo è il mondo di Turner e questa è la maestria del regista che riesce ad entrarvi e a mostrarci i chiarori e le oscurità.


Il film si apre con i titoli di testa che si rincorrono come scie di fumo o flutti salati, mentre sul fondo appaiono immagini delle opere di Turner. Subito questo movimento mutevole si lascia prendere da una musica ardente, intensa e acuta, che risuonerà nelle scene del film al pari dei colori del pittore. La profondità delle note e i suoni della natura sono quelli giusti per accompagnare le storie di mare che l’artista racconta nei dipinti. Nei suoi tanti viaggi, ascolta i racconti degli uomini e sperimenta egli stesso le sensazioni – ad esempio facendosi legare all’albero maestro di una nave nel cuore di una impietosa tempesta - e vivendo sul corpo le sferzate delle intemperie che fendono l’aria e si abbattono sui naviganti e sulle imbarcazioni. I suoni legati tra loro come cime alle bitte nei porti, narrano di esseri umani che percorrono in solitudine gli oceani, anche i più sconosciuti e infidi, e riecheggiano atmosfere coinvolgenti, a tratti stridenti, quasi sinistre, su cui si infrangono marinai e naufraghi, uomini segnati dai venti e dal rimorso, angeli caduti... La musica, al pari dei dipinti di Turner non è descrittiva e neppure accademica.

La splendida fotografia di Dick Pope ci nutre per tutto il film, facendoci immergere in una natura che pulsa e si irradia ovunque riportandoci alla passione presente nello sguardo dell’artista; l’ottimo montaggio di Jon Gregory sciorina una serie di sequenze in cui tele e realtà, da elementi separati, divengono un tutt’uno senza mai confondersi tra loro; la mirabile scenografia di Dan Taylor ci porta in luoghi mai vissuti prima, vivi e presenti come se li conoscessimo da tempo.

Sublime la prova attoriale di Timothy Spall che si è fatto talmente coinvolgere dal personaggio da voler imparare a dipingere lui stesso. Racconta in una intervista: “
Insieme a Mike Leigh abbiamo improvvisato per ore ogni giorno, sui nostri personaggi. Non c’era copione: dovevamo solo vivere i nostri personaggi. Il copione lo ha scritto poi al momento di girare”. Dal nostro punto di vista egli è riuscito ad incarnare con la sua fisicità il tormento artistico della ricerca dell’immagine attraverso il colore fino a farla diventare testimonianza storica. Allo stesso modo il regista riesce a fare del film la personificazione di Turner, al contempo primitivo ed elegante, solitario e comunicativo, oscuro e luminoso; sempre nel presente, ci fa vedere l’apertura sfumata verso il futuro.

Ringraziamo Mike Leigh e tutti coloro che hanno lavorato in questo splendido film per averci regalato questa immersione totale nella realtà artistica.